Tar Lecce dispone chiusura ex ILVA Taranto

Il Tar di Lecce, prima sezione, si pronuncia sull’ordinanza di mesi addietro  del Comune di Taranto sulle emissioni inquinanti di ArcelorMittal, ex Ilva, e stabilisce 60 giorni dalla pubblicazione della sentenza, avvenuta oggi, perché gli impianti siderurgici siano spenti. Con la stessa sentenza, il Tar condanna al rimborso delle spese verso Comune Taranto, Arpa Puglia e Codacons, sia ArcelorMittal, gestore della fabbrica, che Ilva in amministrazione straordinaria, proprietaria, e  ne respinge i ricorsi. Estromesso dal giudizio anche ministero dell’Interno e Prefettura di Taranto  per difetto di legittimazione passiva.
Il Tar di Lecce ha pubblicato la sentenza relativa all’ordinanza del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, che mesi addietro aveva disposto che ArcelorMittal Italia e Ilva in amministrazione straordinaria individuassero entro 30 giorni dalla stessa ordinanza le fonti inquinanti del siderurgico rimuovendole. La stessa ordinanza stabiliva che, in difetto di adempimento, gestore e proprietario avrebbero dovuto spegnere gli impianti. Il Tar ha stabilito che “il termine assegnato nella misura di giorni 60 (sessanta) per il completamento delle operazioni di spegnimento dell’area a caldo, nei termini e nei modi esattamente indicati nella stessa ordinanza sindacale impugnata, deve ritenersi decorrere ex novo dalla data di pubblicazione della presente sentenza, in quanto medio tempore sospeso per effetto della sospensione cautelare dell’efficacia del provvedimento contingibile e urgente”. Per il Tar di Lecce, “deve pertanto ritenersi pienamente sussistente la situazione di grave pericolo per la salute dei cittadini, connessa dal probabile rischio di ripetizione di fenomeni emissivi in qualche modo fuori controllo e sempre più frequenti, forse anche in ragione della vetustà degli impianti tecnologici di produzione”.
“Con riferimento al rapporto tra attività produttiva e tutela della salute, si è già evidenziato – afferma il Tar Lecce – che i limiti di compatibilità che devono regolare il bilanciamento degli interessi antagonisti, così come delineati dal Giudice delle leggi nella Sent. C. Cost.85/2013, risulta macroscopicamente violato in danno della salute dei cittadini, atteso che la compressione della tutela dei diritti fondamentali come il diritto alla salute in favore di un rilevante interesse economico come quello connesso allo stabilimento siderurgico di Taranto deve essere tuttavia contenuto entro limiti ragionevoli e invalicabili ai fini di una compatibilità con i principi costituzionali”. Per i giudici del Tar, “con riferimento al quadro sanitario ed epidemiologico, ricorre nel provvedimento impugnato alcuna violazione del principio di proporzionalità, che in concreto risulta viceversa violato in danno della salute e del diritto alla vita dei cittadini di Taranto, che hanno pagato in termini di salute e di vite umane un contributo che va di certo ben oltre quei “ragionevoli limiti”, il cui rispetto solo può consentire, secondo la nostra costituzione, la prosecuzione di siffatta attività industriale”.

«Rispettiamo sempre come sindacato ogni sentenza della magistratura, ed in coerenza a ciò abbiamo preso tempo per analizzare la situazione che la stessa determina. Ma quanto disposto ieri dal Tar di Lecce circa la chiusura entro 60 giorni della area a caldo della ex Ilva di Taranto costituisce l’ennesimo ribaltone giudiziario, una minaccia forte alla vita dello stabilimento e al futuro di oltre 20mila famiglie, proprio mentre stiamo discutendo il nuovo piano industriale». Cosi il segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia, all’indomani della pronuncia del Tar di Lecce con cui chiede ad ArcelorMittal di spegnere l’area a caldo dello stabilimento siderurgico di Taranto entro 60 giorni.

«La salute dei cittadini, di cui siamo altrettanto preoccupati come per l’occupazione dei dipendenti – aggiunge il leader della Fim Cisl – non si tutela azzerando i problemi. Occorre sapere tutti che chiudere l’area a caldo significa automaticamente chiudere tutte le lavorazioni a freddo, con ripercussioni gravi sugli altri stabilimenti del gruppo. Taranto ha diritto di vedere continuare le produzioni attraverso una riconversione produttiva decisa e sostenibile contenuta negli investimenti previsti nel nuovo piano industriale, al centro del confronto col sindacato. Fermare l’area a caldo – prosegue Roberto Benaglia – significa mettere Taranto in ginocchio, mettere a rischio il futuro degli altri stabilimenti del gruppo, distruggere la capacità di produzione di acciaio italiana proprio nel momento di forte ripresa della domanda, mettere in difficoltà  molte industrie italiane manifatturiere».

A chi invoca accordi di programma come la soluzione a cui tendere, Benaglia ricorda che non c’è nessun futuro credibile e certo per il lavoro a Taranto senza la siderurgia.

«Chiediamo al neo Presidente del Consiglio Draghi, ai ministri Cingolani per la Transizione ecologica e Giorgetti per lo Sviluppo economico, a cui garantiamo la massima collaborazione, di convocare immediatamente tutte le parti ed assumere subito decisioni e provvedimenti che non mettano in ginocchio il polo siderurgico e che rendano possibile far diventare Taranto il principale produttore di “acciaio verde” in Europa. Il sindacato – conclude Benaglia – non assisterà con le mani in mano a questa grave incertezza, per la quale rischiano di pagare il conto i 10.700 dipendenti e le molte migliaia di lavoratori dell’indotto».